Aspettando
la giovenca rossa di Roberto Giammanco da Hortus Musicus, III (2002), 11 www.hortusmusicus.com
Su argomenti analoghi, si vedano:
Millenarismo, Terra
Santa e nuova destra statunitense
Armageddon: L’impero americano e l'immaginario del dominio universale
Roberto Giammanco è stato docente in diverse università statunitensi. È autore di Dialogo sulla società americana, Black Power, Voci negre dal carcere, Malcolm X, Il sortilegio a fumetti, La più lunga frontiera dell'Islam, L'immaginario al potere: religione, media e
politica nell'America reaganiana. Ha curato la prefazione e la traduzione della Autobiografia di Malcolm X, del quale fu amico personale.
Ha curato numerosi documentari per la RAI.
Il 1 maggio 2002, ad Hardball,
programma televisivo di grande ascolto della MSNBC, nientemeno che il leader
della maggioranza al Congresso degli Stati Uniti Richard (Dick) Armey,
repubblicano del Texas, ha dichiarato di non avere «nulla in contrario alla
prospettiva di uno stato palestinese, però non mi piace affatto che lo Stato
d’Israele debba cedere i suoi territori per creare lo Stato palestinese».
Armey ha poi subito precisato che «Gerusalemme Est, la Cisgiordania e la
striscia di Gaza appartengono, a tutti gli effetti, ad Israele». Ha inoltre
rivelato pensieri, «che ho coltivato per anni», il più democratico e
umanitario dei quali è la ferma convinzione che «i palestinesi che vivono
ancora nella Cisgiordania dovrebbero essere deportati». «Ma allora – ha
chiesto Chris Mathews, il presentatore del programma – dove dovrebbe trovarsi
questo stato palestinese? In Norvegia? Una volta che Israele si annette la
Cisgiordania, dov’è lo spazio? E poi, vorreste forse trasportare tutti i
palestinesi in una località qualsiasi che chiamereste Stato palestinese?».
Risponde Armey: «Nel mondo, di spazio ce n’è tanto, molte nazioni arabe
possono mettere a disposizione dello Stato palestinese migliaia di acri di
terra, anche coltivabile, proprietà insomma, offrire loro molte opportunità».
Con deferente ma ferma professionalità, Chris Mathews ha cercato invano di far
dire ad Armey che non era sua intenzione parlare di pulizia
etnica: «Ve lo ripeto, siete proprio convinto che i palestinesi della
Cisgiordania debbano andarsene?». «Certamente! – risponde secco il leader
della maggioranza repubblicana al Congresso degli Stati Uniti, Richard (Dick)
Armey».1 Ma questo è nulla a paragone delle letterine accluse ai
pacchi dono che tanti scolaretti, dalla terza media al liceo, hanno mandato ai
soldati impegnati nelle zona di Turkarem nell’offensiva «Scudo difensivo».
Persino i riservisti che le hanno ricevute sono rimasti esterrefatti al punto
che le hanno raccolte e spedite al Jewish
Action Center accompagnandole con «un grido d’allarme per il sistema
scolastico israeliano». Alcuni esempi: «Caro soldato, ti prego, ammazza più
arabi che puoi. Io prego perché tu ritorni a casa sano e salvo e ne ammazzi
almeno dieci per mio conto. Lascia stare le regole e annaffiali di piombo. Il
migliore degli arabi è l’arabo morto. Che i palestinesi, sia maledetto il
loro nome, brucino nel profondo dell’inferno. Non è divertente sparare agli
arabi? Il solo arabo di prima qualità è l’arabo morto».2
Se il leader della maggioranza repubblicana al Congresso
degli Stati Uniti Richard (Dick) Armey sanziona la soluzione pulizia
etnica, il senatore Jim Inhofe, repubblicano dell’Oklahoma, ne aveva
confermato il fondamento e coronamento in un discorso del 4 marzo 2002 dal
titolo emblematico Il diritto d’Israele alla terra d’Israele («IO SONO IO» –
diceva il vecchio, arrogante Innominabile a Mosè, Esodo
3:14). Sette sono le «prove-ragioni» elencate dal senatore fondamentalista
dell’Oklahoma, sette come le piaghe d’Egitto. Particolarmente dotta e
convincente è la prova della «evidenza archeologica». Dimostra, si fa per
dire, che «su quella terra gli israeliani sono presenti da tremila anni, il che
elimina le pretese di qualunque altro popolo. I filistei sono estinti e così
tutti gli altri popoli antichi. Nessuno di loro può vantare la continuità
degli israeliani. Neppure gli egiziani contemporanei sono della stessa razza
degli egiziani di due o tremila anni fa. Ora sono soprattutto arabi. I primi
israeliti, invece, discendevano dagli israeliti originari». La quinta
‘prova’ ha tutto il sapore del coronamento del globalismo dell’IO SONO IO:
«Israele deve avere tutta la sua terra perché è un alleato strategico degli
Stati Uniti». Non è forse «detto nella Bibbia che Abramo prese la sua tenda e
si stabilì nella pianura di Mamre e lì costruì un altare al cospetto del
Signore? Hebron è in Cisgiordania ed è proprio lì che Dio apparve ad Abramo e
gli disse: “Io ti dono questa terra!”, la Cisgiordania, appunto». «Questa non è una battaglia politica ma un confronto in cui si decide se
la parola di Dio è vera o no». Riguardo all’attacco dell’11 settembre
alle Twin Towers e al Pentagono: «Una delle ragioni per cui ritengo che siamo
stati noi ad aprire la porta spirituale
per l’attacco contro gli Stati Uniti è stata la politica del nostro Governo,
che ha fatto pressione sugli israeliani perché non facessero rappresaglie
totali in risposta agli attacchi terroristici scatenati contro di loro». Dio ha
permesso «l’olocausto delle Twin Towers» perché è stato offeso per la
mancata vendetta. Come a Canaan: «nelle città di questi popoli che l’Eterno,
il tuo Dio, ti dà come eredità, non conserverai in vita nulla che respiri: ma
voterai a completo sterminio gli Hittei, gli Amorei, i Cananei, i Ferezei, gli
Hivvei e i Gebusei» (Deut. 20:17-18).
L’ingresso torrenziale in politica del linguaggio biblico
dei fondamentalisti cristiani coincide con gli anni di apprendistato di Ronald
Reagan e con la sua trionfale ascesa alla Casa Bianca, grazie ai voti della
Destra politico-religiosa, la Moral
Majority.
Già nel 1971, durante una cena in onore di Ronald Reagan,
allora nullafacente ma popolarissimo governatore della California, si parlò di
profezie sull’inevitabile, addirittura imminente, conflitto nucleare con
l’Unione Sovietica. Furono sgranate le citazioni bibliche d’obbligo dei più
famosi passi paranoici del libro di Ezechiele, di Daniele, dell’Apocalisse.
«Appena saranno finiti i mille anni, Satana sarà lasciato
libero, uscirà dalla prigione per sedurre le nazioni che sono ai quattro angoli
della terra, Gog e Magog, per radunarli alla guerra. Il numero di questi è come
la sabbia del mare» (Apocalisse
20:8).
«In quel giorno – tuonò Jahweh – nel giorno in cui
Gog verrà contro la terra d’Israele il furore mi salirà alle narici ognuno
volgerà la spada contro i suoi fratelli.
E verrò in giudizio contro di lui, con la peste e col
sangue e farò piovere torrenti di pioggia e grandine e fuoco e zolfo su di lui,
sulle sue schiere e sui popoli numerosi che saranno con lui. Così mi
magnificherò e mi santificherò e mi farò conoscere agli occhi di molte
nazioni ed esse sapranno che IO SONO L’ETERNO» (Ezechiele
38:12, 21:23).
Ronald Reagan, vero e proprio mago della comunicazione
pubblicitaria al minimo comun denominatore emotivo, disse «con un’intensità
addirittura luminosa sul volto e nella voce»: «Ora che la Libia è diventata
comunista, questo è il segno che il giorno di Armageddon non è lontano. I
rossi devono andare al potere in Etiopia! è inevitabile, è assolutamente
necessario perché la profezia si compia, che l’Etiopia diventi una di quelle
nazioni senza Dio che si scaglieranno contro Israele».
Il Gog che allora, nel 1971, era alla guida delle «potenze
delle tenebre» pronte ad aggredire Israele, l’Unione Sovietica, era già
l’Impero del Male. Ma perché proprio l’Unione Sovietica?
Perché, disse Ronald Reagan con solenne convinzione, «Ezechiele
ci dice che verrà da Nord e, infatti, quale altra nazione di quella potenza
c’è a Nord di Israele? Nessuna. Tutto questo sembrava assurdo prima della
Rivoluzione bolscevica perché la Russia era una nazione cristiana, ma ora che
è diventata comunista e atea, ora che si è messa decisamente contro Dio,
risponde perfettamente alla descrizione di Gog!».
In un altro dei suoi saggi di escatologia biblico-politica,
al canterino gospel Pat Boone, che più volte in diretta aveva detto di
preferire la morte delle sue figliolette in un olocausto nucleare piuttosto che
vederle crescere sotto l’Impero del Male,3
Ronald Reagan ricordò che «gli ebrei hanno vissuto per secoli la diaspora, ma
questo non vuol dire che Dio si è lavato le mani di loro». Anzi! «Prima del
ritorno del Figlio li riunirà tutti in Israele. Persino i mezzi di trasporto di
cui si sarebbero serviti sono stati descritti in dettaglio dal profeta! Alcuni
“verranno per mare” ed altri ritorneranno “come colombe ai loro nidi”.
In altre parole, o torneranno con le navi o per via aerea... Questa profezia si
compì nel 1967 quando Gerusalemme fu riunita sotto la bandiera d’Israele…
Già nel 1948…» E subito citò la data esatta della costituzione dello Stato
d’Israele.4 Nel 1981, ormai Presidente degli Stati Uniti, a Jerry
Falwell, il telepredicatore padrone di uno dei grandi imperi mediatici
religiosi, Ronald Reagan dichiarò: «Jerry, lo sai che credo proprio che ci
stiamo avvicinando, dico ora e non in
tempi lunghi, al grande giorno di Armageddon?». Sullo sfondo del Grande
Spettacolo degli anni di Reagan incombe, in versione consumistico-sionista, la
Teologia fondamentalista di Armageddon, il cui Agostino è il predicatore
evangelico Jerry Falwell.5
– «Anche oggi gli ebrei debbono esser considerati come
il popolo eletto?»
– «Sì, senza alcun dubbio il tramite divino per
l’evangelizzazione del mondo è la Chiesa cristiana ma Israele svolge un ruolo
primario tra tutte le nazioni. L’età dei gentili (Luca 21:24) o è finita con la conquista ebraica di Gerusalemme nel
1967, oppure finirà in un futuro molto prossimo […]».
Israele e la Chiesa cristiana hanno scopi diversi ma
tutt’e due «sono stati eletti da Dio»; «nessuno è responsabile della morte
di Cristo che ha dato volontariamente la vita per lavare i peccati dell’umanità»;
«L’antisemitismo è creazione di Satana che cerca tutti i mezzi per colpire
il popolo eletto»; «Oggi, lo Stato d’Israele è la sede della profezia. Nel
Vecchio Testamento il ruolo degli ebrei era quello di testimoniare, oggi è
quello di preparare la Seconda Venuta di Cristo». Jerry Falwell integra,
modificandolo, lo schema del sistema dispensazionista.
Le dispensazioni vanno dall’Innocenza prima della Caduta
alla Legge consegnata a Mosè, alla Grazia, che comincia dalla morte di Cristo
fino ai nostri tempi. La Seconda Venuta di Cristo porrà fine al periodo delle
Tribolazioni. è solo grazie alla profezia che ogni dispensazione è legata
all’altra divenendo così il filo conduttore di tutto il sistema. Tutti gli
sforzi che gli uomini fanno per impedire o mutare il Disegno divino in ogni
dispensazione sono inutili e, soprattutto, sono azioni suggerite da Satana. Il
giorno di Armageddon, in data da destinarsi, milioni saranno inceneriti ma «proprio
per questo – annunciava Falwell – non dobbiamo dimenticare com’è bello
esser cristiani! Noi abbiamo un futuro meraviglioso davanti!». Infatti,
secondo l’evangelismo postmillenarista, i «rinati in Cristo» verranno «rapiti»,
raptured, sollevati a mezz’aria tra
la terra e il cielo e lì resteranno per «tutti i sette anni delle Tribolazioni».
L’idea del ‘rapimento’, disneyana e terroristica come
tutte le visioni escatologiche, è al centro del grande Revival evangelico della
fine del XIX secolo che coinvolse gli strati sociali «nativisti», gli eredi
della «Nazione sotto Dio», minacciati dalle crisi economiche e dalle ondate di
immigranti dall’Europa. L’idea del ‘rapimento’ fu una specie di valore
aggiunto alla fiducia calvinista nell’elezione attraverso il successo
economico e il dovere sociale. Nel libro dell’Apocalisse
(6:19) è detto che i «rapiti saranno 12.000 per ciascuna delle dodici tribù
d’Israele, per un totale di 144.000 ingressi al Regno». 144.000 ebrei o
cristiani? Tanto che Mark Twain, scrivendo al Padreterno, gli chiedeva se il suo
nome fosse nella lista. Per il fondamentalismo cristiano non c’erano dubbi: i
rapiti erano solo i «rinati in Cristo». Ma il nuovo fondamentalismo dell’èra
reaganiana ci dice, per bocca di Jerry Falwell, che «né Paolo, né Pietro, né
Giovanni smisero di essere ebrei dopo aver accettato Cristo come Messia. Tutti
ebbero una doppia identità. Quando Cristo ritornerà, libererà gli ebrei da
tutti i loro nemici gentili e loro, come nazione, Lo riconosceranno come il
Messia, l’unico. I cristiani, cristiani ed ebrei, rimarranno per mille anni
con Cristo nel suo Regno sulla terra».6
Walt Disney non è mai riuscito a far meglio.
Il 5 aprile 2001 un annuncio epocale. I rabbini Menachem
Makover e Chaim Richman Secondo il giudaismo tradizionale, un ebreo che abbia avuto
contatto, diretto o indiretto, con i morti (basta aver camminato su o vicino ad
una sepoltura) è impuro e gli è vietato l’ingresso nel Tempio. D’altronde
è dovere divino per tutti gli ebrei praticare il culto del e nel Tempio. Ora,
tutti gli ebrei sono impuri perché, in un modo o nell’altro, sono entrati in
contatto con qualche morto e poi, oggi, il Tempio non c’è. L’ultimo, è ben
noto, fu distrutto da Tito nel 70 d. C. Che fare? La purezza, e quindi il dovere
di praticare il culto del Tempio, può essere assicurata soltanto con il
sacrificio di una giovenca rossa («Dì ai figli d’Israele che ti menino una
giovenca rossa, senza macchia, senza difetti, che non abbia mai portato il giogo»,
Numeri 19:1-10). Il testo biblico
prescrive che la giovenca rossa sia sacrificata con un elaborato rituale. Dovrà
poi esser bruciata e dalle ceneri impastate con aromi se ne ricaverà un’acqua
con cui aspergere i fedeli che, ipso facto,
saranno purificati e potranno così partecipare all’ufficio divino nel Tempio.
Nel 1976, Menachem Burstin dette inizio ad una ricerca degli ingredienti da
usare per i futuri sacrifici. Nel 1987, pubblicò un libro sul Techelet,
tintura che sembra fosse estratta da una «creatura marina» chiamata hilazon,
mentre Vendyl Jones, pastore battista del Texas, scava alla ricerca dei cocci
del vasellame del Tempio distrutto nel 70 d.C. Tra i cocci dovrebbe esserci il kalal
con le ceneri della giovenca rossa ultima bruciata, ceneri che non sono state
(ancora) ritrovate.
Tutte queste ricerche sono finanziate dalla Jerusalem
Temple Foundation, organizzazione cristiana esentasse capeggiata per anni da
Terry Risenhoover, multimiliardario finanziatore delle ricerche petrolifere nei
territori occupati da Israele. Alla presidenza della Jerusalem
Temple Foundation i cristiano-sionisti avevano chiamato Stanley Goldfoot,
noto terrorista della banda Stern, la stessa che, nel 1948, assassinò il conte
Bernadotte e fece saltare in aria tutto il comando inglese all’Hotel David. è
sempre la Jerusalem Temple Foundation
a finanziare la Yeshiva Ataret Cohanim,
la scuola ortodossa che prepara, ormai da decenni, gli aspiranti rabbini a
celebrare l’ufficio divino nel Terzo Tempio quando ci sarà. Ma quando ci sarà?
Il 10 marzo 1983, quattro fanatici del Gusb
Emunim, il Fronte dei fedeli, finanziato dai miliardari del Texas, cercarono
di collocare cariche esplosive sotto la Grande Moschea di Omar e, nel 1984, il
tentativo fu ripetuto dalla banda Lifta.
Da ricordare che gli ebrei ortodossi considerano il monte su cui sorge la Grande
Moschea di Omar come dissacrato dai musulmani e dai cristiani. Per loro,
accedervi è sacrilegio. Ma i rabbini non si sono persi d’animo: hanno
stabilito che «la sua santità si estende verso l’alto, all’infinito» e
per impedire che l’impurità dei passeggeri non-ebrei la contaminasse, nel
1983 fu vietato tassativamente a El-Al di sorvolare la zona.
Il fervente appoggio ad Israele dei fondamentalisti
cristiani, elemento portante della Teologia di Armageddon e del controllo
dell’AIPAC sul Congresso e il Senato degli Stati Uniti,7
non è una novità nell’immaginario americano. «Troveremo che il Dio
d’Israele è tra di noi – predicava il puritano John Winthrop nel 1630 –
farà sì che noi diventeremo lode e gloria per quelli che verranno. Dobbiamo
considerarci come una Città sulla collina: gli occhi di tutti sono su di noi».
Israele era stato il primo popolo scelto per il patto con Dio e, per il secondo,
la scelta divina era caduta sulla Nuova Sion, la Nuova Israele. La continuità
tra «il popolo eletto» e la «Nazione sotto Dio» è un tema costante
dell’evangelismo americano.
La ‘passeggiata’ di Ariel Sharon sulla spianata delle
moschee che ha provocato la Seconda Intifada e il genocidio ben più che
‘strisciante’ del popolo palestinese, è un evento sanguinoso e simbolico
che viene da lontano. Come lo è l’assedio di fanatica crudeltà alla Basilica
cristiana della Natività. In questo caso, è partita dalla International
Christian Embassy,
l’‘ambasciata’ dei cristiano-sionisti statunitensi che è insediata a
Gerusalemme dal 20 settembre 1980, l’iniziativa di raccogliere fondi tra gli
evangelici degli Stati Uniti per pubblicare inserzioni di condanna per «l’ignobile
profanazione della Basilica». Naturalmente, da parte dei palestinesi.
Nell’orgia del Grande Spettacolo, i temi della Seconda
Venuta di Cristo e della battaglia di Armageddon sono parte del potere di
definizione dell’egemonia politica e mediatica dell’Impero. Sono assunti
come l’atmosfera sublimante di un’ideologia globale del dominio che
definisce i suoi «sommersi» e i suoi «salvati» per annientarli a distanza.
Il suo assolutismo etico virtuale nasconde tutti gli orrori solo perché è
simultaneo e dura il tempo di trasmissione.8 Riuscirà davvero l’universo mediatico a organizzarci
anche la Seconda Venuta? NOTE 1
Il testo completo si può cercare su: comgroups.yahoo.com/group/togethernetwork.
2
Yedioth Ahronoth, 7 maggio 2002. Recentemente, il professor Daniel Bar-Tal
dell’Università di Tel-Aviv ha analizzato 124 libri di testo per le scuole
elementari, medie e superiori d’Israele. Fino a tutti gli anni Ottanta si
tendeva ad esaltare le glorie dell’antico Israele «riscoperto» perché «risorto
grazie al movimento sionista». Nei libri di testo di tutto quel periodo gli
arabi venivano descritti come «inferiori», «fatalisti», «improduttivi», «apatici»,
«tribali», «vendicativi», «assassini», «disonesti», «criminali». I
libri di testo contemporanei usano meno questa terminologia ma danno per
scontato che non esiste alcuna identità palestinese, né antica né moderna. I
libri di testo per gli arabo-israeliani, che sono un quinto della popolazione
d’Israele, sono sì in lingua araba ma vengono scritti e pubblicati dal
Ministero dell’Istruzione d’Israele. Tra i dipendenti del dicastero solo
l’1% sono arabi e nessuno di livello medio o superiore. Non ci sono università
per gli arabi. An Ugly Face in the Mirror, dello
scrittore israeliano Adir Cohen, è uno studio sulla percezione che i giovani
arabi israeliani, gli ebrei israeliani e i palestinesi hanno gli uni degli
altri. Il 75% degli studenti ebrei descrive gli arabi come, nell’ordine, «assassini»,
«criminali», «terroristi», «rapitori di bambini», «parassiti» e «inferiori»
sotto ogni aspetto. L’arabo è «un essere sporco dalla faccia feroce». Il
90% degli studenti ebrei era d’accordo che agli arabi «non si dovesse
concedere alcun diritto». «Le descrizioni umilianti e negative contenute nei
libri di testo – scrive Cohen – puntano deliberatamente a stabilire una base
culturale che giustifichi atteggiamenti e comportamenti degli studenti ebrei nei
confronti degli arabi e consolidi per sempre l’identità egemonica ebraica».
«Non esiste un popolo palestinese, non è come se noi fossimo venuti qui a
cacciarli e a impossessarci del loro paese. I palestinesi non esistono». (Golda
Meir in un’intervista al Sunday Times del 15 giugno 1969).
Il 15 ottobre 1971, ai giornalisti di Le Monde, la stessa Golda Meir dichiarava: «Israele esiste come la
realizzazione di una promessa fatta da Dio. Sarebbe ridicolo chiedergli conto
della sua legittimità».
3 Better
Dead than Red, meglio morto che rosso, fu il paranoico slogan che funestò
le cronache e i sonni di un paio di generazioni di americani. In Europa non entrò
nel discorso pubblico, salvo qualche rara eccezione, tra cui Giuseppe Pella che
si disse pronto a veder morire la prole in un olocausto atomico piuttosto che
saperla vivere sotto i rossi.
Quello slogan ebbe anche la sua teologia, come del resto è
successo durante le recenti guerre «umanitarie» e/o «giuste» della
Iugoslavia, dell’Afghanistan e come sarà per le tante altre a venire. Una
martellante propaganda terroristica teneva alta la tensione emotiva con la
prospettata necessità di colpire per primi (la teoria del First Strike) e migliaia di americani si rivolsero alle loro chiese
per avere risposta a quesiti come questi: «Se i nostri vicini tentassero di
ripararsi nel rifugio che basta a garantire la sopravvivenza dei soli membri
della nostra famiglia, sarebbe lecito e moralmente giustificabile sparare su di
loro?»; «quando le provviste stessero per esaurirsi, sarebbe lecito gettar
fuori gli invalidi e i meno utili per consentire ai bambini e ai più giovani di
vivere qualche giorno di più?»; «se qualcuno, subito dopo l’inizio
dell’attacco, battesse alla porta del rifugio e chiedesse di esservi accolto,
sarebbe lecito non aprire se ciò fosse indispensabile per non fiaccare il
morale di chi è già dentro?». Padre L.C. McHugh S.J. rispose così sulla
rivista America (30 settembre 1961):
«In nessun luogo della tradizione morale cattolica si legge che Cristo, nel
consigliare la non resistenza al male, abbia escluso il diritto all’autodifesa
che è di origine naturale ed è riconosciuto dal diritto delle genti […].
Perciò ritengo assolutamente insensato affermare che l’etica cristiana
imponga, o anche solo permetta, che ci si debba esporre al fallout per lasciar entrare nel rifugio dei vicini sprovveduti. Inoltre, dubito che qualsiasi teologo
cattolico condannerebbe chi si servisse di tutti i mezzi a sua disposizione per
respingere aggressori terrorizzati che
cercassero di forzare la porta con sbarre di ferro, chi usasse la forza per
cacciare fuori dal rifugio, costruito per sé e per la propria famiglia,
chiunque vi si chiudesse dentro al posto
dei legittimi proprietari» [i corsivi sono miei]. Di rincalzo al teologo
gesuita, il dottor Paul Ramsey, teologo presbiteriano: «L’etica cristiana non
ci impone di morire tutti per il solo fatto che tutti non possiamo sopravvivere».
Cfr. Roberto Giammanco, Dialogo sulla
società americana, Einaudi,
Torino 1964; La Nuova Italia, Firenze 1995.
4
Roberto Giammanco, L’immaginario al
potere. Religione, media
e politica nell’America reaganiana, Pellicani editore, Roma 1990, pp. 87
ss.
5 Il
termine ‘fondamentalista’ deriva da The
Fundamentals. A Testimony of the Truth,
il titolo di una collana pubblicata tra il 1910 e il 1917, «contro ogni teoria
laica, materialista, scientifica, socialista […]», in parallelo con la grande offensiva cattolica «contro il modernismo». La fede
evangelica è riassunta in 5 articoli: nascita di Cristo da madre vergine,
resurrezione in corpore e sua Seconda
Venuta, redenzione grazie alla sua morte sacrificale, infallibilità letterale
della Bibbia, autenticità dei miracoli delle Scritture. La base sistematica del
fondamentalismo evangelico è la Scofield
Reference Bible, opera di tutta la vita di Cyrus Ingerson Scofield
(1843-1921). Partendo dalla premessa che tutta la Bibbia è parola divina,
Scofield sostenne che si debba dividerla «scientificamente» nelle sue parti.
«Compito dell’interprete non è di valutarle per generi letterari, allegorie
e metafore isolate, idee scelte alla rinfusa». Occorre «un’accurata e
oggettiva classificazione che coordini i passi in categorie, dispensazioni,
ognuna delle quali è un momento del Disegno divino». Il sistema
dispensazionista è un ingegnoso meccanismo che sottrae il materiale delle
Scritture ad ogni approccio storico o allegorico e ne garantisce
un’interpretazione assolutamente letterale.
6 Cfr.
il mio L’immaginario al potere, cit.,
cap. II.
7 L’American
Israel Public Affairs Committee (AIPAC) è il maggior gruppo di pressione
pro-israeliano, con 60.000 iscritti che organizzano campagne volte a influenzare
i membri del Congresso persino nelle circoscrizioni elettorali dove scarsa o
nulla è la popolazione ebraica (per es. lo Stato dell’Oklahoma di cui è
senatore Jim Inhofe). Ha un bilancio ufficiale di quindici milioni di dollari.
Fino al 1999 era considerata la seconda lobby dopo quella dei pensionati e prima
di quella dei sindacati. Dal 2000 è la prima in assoluto. L’AIPAC si occupa
dei membri del Congresso così bene da far dire a William Quando, membro del
National Security Council sotto Nixon e Carter, che, oggi, «il 70-80% dei
membri del Congresso si comportano nelle delibere su argomenti importanti per
Israele secondo le indicazioni che ricevono dall’AIPAC» (Tages
Anzeiger, 22 aprile 2002). Gli interessi di Israele presso il Governo degli
Stati Uniti sono invece curati dalla Conference
of Presidents of Major American Jewish Organizations, una lega di 51
organizzazioni ebraiche.
8 Nel
1994, da un sondaggio dell’U.S. News and
World Report (11 dicembre 1994) risultava che sei americani su dieci
credevano nella fine del mondo, un terzo entro pochi anni o decenni; il 61%
erano convinti che Cristo ritornerà sulla terra e il 44% che, a breve scadenza,
ci sarebbe stata la battaglia di Armageddon. Due terzi degli intervistati erano Born
again, «rinati in Cristo». Nell’anno 2000, un analogo sondaggio ha dato
su per giù gli stessi risultati con un aumento al 72% dei convinti nella
Seconda Venuta di Cristo, mentre il 53% degli intervistati si è detto persuaso
che il Terzo Tempio d’Israele sarebbe stato costruito entro pochi anni, al
massimo un decennio.
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